Qui sotto sono alcune statistiche che mostrano il generale sviluppo del trasporto in Italia dagli anni 20 del Novecento al 2015 circa. Tutti i grafici, eccetto quelli sul mercato del trasporto merci e sui pendolari, possono essere ingranditi, selezionandone una regione.
Si può chiaramente notare come la quantità di merci movimentata via ferrovia sia rimasta sostanzialmente stabile dal primo dopoguerra a oggi. Il trasporto per mare, dopo aver affiancato come quantità quello su ferro, ha cominciato a distanziarlo a metà degli anni ’50, terminata la ricostruzione postbellica e la stagione dell’autarchia fascista.
Il trasporto su gomma, per il quale purtroppo mancano dati precedenti il , è di gran lunga il principale attore del trasporto merci, con un volume movimentato doppio rispetto ai suoi due concorrenti principali. Il trasporto aereo sarà analizzato più avanti.
Per le merci su strada sono state consultate le statistiche pubblicate dalla Confederazione generale italiana dei trasporti e della logistica per le merci trasportate dal 1995 (anno in cui sono cominciate le rilevazioni ISTAT) al 2003, le tavole dell’indagine ISTAT “Trasporto merci su strada” 2000-2005 per i dati dal 2004 al 2005, le tavole della stessa indagine, ma relativa al 2006 e al 2007 per quegli stessi anni e infine i dati disponibili sulla base di dati pubblica dell’ISTAT per gli anni dal 2008 al 2015.
Questo grafico chiarisce la situazione già descritta dal precedente. In Italia, in questi ultimi vent’anni, per strada hanno viaggiato almeno i tre quinti delle merci movimentate (escludendo il trasporto per oleodotto e per canale e fiume, che hanno un ruolo marginale), anche se nel periodo successivo alla crisi del sembrerebbe esserci un tentativo di recupero di mare e ferrovia sulla strada.
È doveroso precisare che la ferrovia e la strada si contendono, almeno teoricamente, lo stesso bacino d’utenza, mentre i trasporti via mare, specie quelli intercontinentali, resi possibili dalla globalizzazione, difficilmente possono avere alternative.
Per le merci su strada sono state consultate le statistiche pubblicate dalla Confederazione generale italiana dei trasporti e della logistica per le merci trasportate dal 1995 (anno in cui sono cominciate le rilevazioni ISTAT) al 2003, le tavole dell’indagine ISTAT “Trasporto merci su strada” 2000-2005 per i dati dal 2004 al 2005, le tavole della stessa indagine, ma relativa al 2006 e al 2007 per quegli stessi anni e infine i dati disponibili sulla base di dati pubblica dell’ISTAT per gli anni dal 2008 al 2015.
Per le merci trasportate via ferrovia, sia dalle Ferrovie dello Stato, sia dalle ferrovie concesse e private, hanno contribuito le “Statistiche dei Trasporti” ISTAT 2001 per gli anni dal 1995 al 2000, le stesse statistiche, ma nell’edizione 2002-2003, per gli anni 2001 e 2002, mentre per gli anni dopo il 2004 si sono consultati i dati dall’indagine ISTAT “Trasporto ferroviario”.
Le merci per via aerea meritano un discorso a parte a causa dell’ordine di grandezza della loro quantità, nettamente inferiore a quello dei trasporti terrestri e marittimi. Dall’inizio delle rilevazioni, il comparto aereo è sempre stato in crescita, che, da timidissima qual era prima della guerra, è divenuta decisa a partire dagli anni ’60, rallentata solo dalla recessione del , dal cui colpo però sembra già essersi ripresa.
Dal i dati includono anche il bagaglio trasportato.
Nel campo del trasporto passeggeri, le ferrovie hanno da sempre una posizione preminente. Il loro quasi-monopolio è stato intaccato solo dalla maggiore disponibilità di automezzi per i privati e dallo sviluppo dell’aviazione. L’introduzione dell’alta velocità ferroviaria modernamente intesa ha comunque consentito al treno di ritornare competitivo sull’aereo, almeno per le tratte nazionali. Dalla metà degli anni ’80 il trasporto su ferro, dopo un trentennio di sostanziale stasi, ha ricominciato a crescere, e questa crescita si è fatta più marcata dall’inizio del ventunesimo secolo.
Il trasporto aereo, fino alla fine del ventesimo secolo con un numero di viaggiatori minore del settore marittimo, ha preso il sopravvento grazie all’avvento delle compagnie low cost e ha retto molto bene all’impatto della recessione post-2008, che ha invece duramente colpito il suo concorrente. La decrescita dei passeggeri per nave dimostra che questo mezzo di trasporto è ormai usato quasi esclusivamente per viaggi di piacere, e che quindi, in quanto spesa voluttuaria, è stato abbandonato dai suoi fruitori più colpiti dalla crisi.
Sia per il parco merci che per il parco passeggeri, le FS hanno diminuito il numero di rotabili tradizionali (ovvero carri, carrozze e motrici), sebbene un settore sia in declino e l’altro in crescita.
Per quel che riguarda il trasporto passeggeri, è necessaria una precisazione: esso è espletato anche da automotrici, autotreni ed elettrotreni, che non figurano in questo grafico per mancanza di informazioni al riguardo. Quindi il calo delle carrozze e delle motrici mentre i viaggiatori aumentano potrebbe essere dovuto al fatto che molti treni, che prima erano effettuati con composizioni tradizionali, sono stati presi in carico da automotrici o simili.
Per i carri merci, si nota che, malgrado le merci movimentate dalle FS nel fossero la stessa quantità di novant’anni prima, i carri per il loro trasporto erano un settimo. I carri moderni sono molto più capaci dei loro antenati, quindi ne servono meno per trasportare uno stesso carico. Inoltre, il trasporto merci locale, una volta molto presente, si è tremendamente ridimensionato (basti guardare quanti scali merci abbandonati ci sono sulla rete ferroviaria italiana) e con esso la necessità di tenere in deposito lungo le linee secondarie, magari sottoutilizzati, piccoli carri per espletare questi servizi.
Il calo nel numero delle motrici, per le quali non si è fatta distinzione tra atte al servizio merci o passeggeri per impossibilità di reperire dati con queste informazioni, è stato causato, oltre che dalla concorrenza per il servizio passeggeri delle automotrici sulle tratte meno importanti e degli elettrotreni su quelle principali, dal fatto che le macchine moderne hanno bisogno di una manutenzione meno frequente e possono essere sfruttate più intensamente, quindi per soddisfare i bisogni della rete diviene sufficiente un numero minore di locomotori.
Dal grafico raffigurante l’estensione in chilometri delle due reti, il fatto più evidente è la distruzione per cause belliche di 4000 km di linea, che ha riportato la rete ferroviaria italiana alla lunghezza che aveva nel . A dimostrazione dell’importanza di quell’infrastruttura, nei tre anni successivi alla fine del conflitto, l’estensione delle ricostruzioni fu quasi pari a quello delle costruzioni nei cinquant’anni precedenti, anche se furono abbandonati alcuni tratti giudicati indegni di riattivazione (fra questi, a titolo d’esempio, si può citare la Lucca-Pontedera). Terminata la ricostruzione postbellica, la rete ferroviaria di stato non si è più estesa significativamente, attestandosi sui 16000 km, con un saldo quasi nullo tra nuove realizzazioni, rettifiche e dismissioni. L’incremento successivo al è dovuto alle linee ad alta velocità.
Per quel che concerne strade e autostrade, dopo la ricostruzione, il distacco dalla situazione d’anteguerra si è avuto dagli anni ’60 per le provinciali e le statali, con un totale di sessantaduemila chilometri tra nuovi percorsi e rettifiche di vie già esistenti (metà dei quali costruiti nel ) e grandi opere come i trafori del Monte Bianco e del Gran San Bernardo, che hanno reso gli scambi con la Francia e la Svizzera rispettivamente molto più rapidi. Un valore simile, negli anni della Belle Époque, ebbero per la ferrovia i trafori del Fréjus e del Sempione. Gli anni ’60 sono anche ricordati per l’Autostrada del Sole (700 km circa), la cui inaugurazione, nel , ha aperto la strada al grande ampliamento della rete autostradale degli anni successivi, solo rallentato dalle crisi petrolifere degli anni ’70 e terminato nei primi anni ’80.
Il numero di motocicli o di automobili (a seconda del periodo storico) circolanti sulle strade è uno degli indici più chiari della crescita economica dell’Italia. Dopo una crescita, in proporzione, notevole negli anni ’20 e più sofferente nel decennio successivo, i mezzi su strada si sono dimezzati a causa del secondo conflitto mondiale. Il recupero dei numeri d’anteguerra si è avuto nel , e in quegli anni è iniziato il fenomeno della motorizzazione di massa, prima con le motociclette, più economiche e con meno formalità amministrative. Il segno di un maggiore e più diffuso benessere in Italia è però dato dal sorpasso tra il numero di motocicli e di automobili, queste ultime ovviamente più costose in acquisto e gestione: non a caso questo è avvenuto nel , in pieno miracolo economico, sette anni dopo l’introduzione della spartana FIAT 500. Dagli anni del boom in poi, il numero dei veicoli su strada è stato quasi sempre in crescita, sebbene questa, gradualmente, abbia rallentato, passando dalle due cifre del (il numero delle automobili ha invece continuato ad avere un tasso di crescita a due cifre fino al ) alla presente, nell’ordine quasi del pareggio. Il periodo di recessione successivo al 2008 pare aver accentuato una tendenza all’assenza di crescita già presente, probabilmente causata da una saturazione del mercato, piuttosto che aver bloccato esso stesso la crescita dei veicoli.
Studiando la proporzione tra le varia categorie di mezzi circolanti, si può notare come gli attuali rapporti abbiano preso forma negli anni ’70-’80, con la totale preponderanza dell’automobile su tutti gli altri veicoli.
Un confronto interessante è quello che può farsi tra il numero di veicoli e la rete stradale a loro disposizione (esclusa la viabilità comunale e minore, su cui i dati sono incompleti): si può calcolare che nel , per ogni chilometro di strada extraurbana esistevano 8 veicoli capaci di percorrerlo (una sostanziale assenza di traffico, si potrebbe dire), mentre nel 2013, la densità di mezzi sulla rete viaria era di 270 veicoli al chilometro. Questo gigantesco incremento diventa ovvio se si pensa che dall’entrata in guerra dell’Italia a oggi la lunghezza delle strade statali, provinciali e delle autostrade nell’insieme si è a malapena triplicata, mentre il parco circolante si è centuplicato, sottoponendo l’infrastruttura a una prova mai vista nella storia.
Il salto nel numero di motoveicoli avvenuto tra il e l’ è dovuto all’esclusione dei ciclomotori dalla categoria dei motoveicoli.
Sui primi anni della motorizzazione di massa è un’interessantissima testimonianza la serie di documentari RAI Cento all’ora, di Giuliano Tomei, trasmessa nel , con ogni episodio dedicato a una regione d’Italia. Se ne trovano alcune parti su Youtube.
Il fatto che emerge più evidente dal grafico è la grande crescita della stazza (il volume di carico di una nave, misurato in tonnellate marittime, che però non hanno legami con l’unità di peso) complessiva del naviglio all’inizio del ventunesimo secolo, bloccata e fatta arretrare dalla recessione del 2008, che ha fatto contrarre gli scambi commerciali. L’aumento della stazza, però, non è stato accompagnato da un incremento nel numero delle navi, che semplicemente sono diventate molto più grandi. Si nota anche che per tutti gli anni ’80 e ’90 la stazza delle navi italiane è calata, mentre i volumi di passeggeri e merci transitati dai porti italiani sono aumentati, sintomo di una più forte presenza nel settore di operatori stranieri.
Il salto tra il e il nel numero delle navi è dovuto al fatto che prima dell’ultima data non erano considerate le navi a vela. Dal è pubblicata la stazza lorda, mentre fino al era pubblicata la stazza netta.
Riguardo a chi si muove per diletto in Italia, includendo i viaggi verso l’estero, si può notare una prevalenza dell’automobile, che esiste da quando sono cominciate le rilevazioni ISTAT. Il treno, che nel era scelto da un terzo dei viaggiatori, ha perso utenti senza interruzioni, fino a raggiungere le quote attuali, sotto il 10%. Chi invece ha registrato una grande crescita è invece l’aereo, che, partendo da una sostanziale insignificanza, è riuscito a farsi preferire da un quarto–un quinto dei viaggiatori, grazie ai bassi prezzi offerti dalle compagnie low cost.
L’ISTAT avverte che i dati relativi all’anno non sono direttamente confrontabili con quelli degli anni precedenti, a seguito dei profondi cambiamenti sopravvenuti nell'indagine.
Nel campo della mobilità per necessità l’automobile ha, nel momento presente, un ruolo nuovamente da protagonista. Già nel 1971 la motorizzazione di massa aveva raggiunto uno sviluppo tale da avere l’automobile come mezzo preferito da un quarto dei lavoratori, ma la svolta si è avuta nel decennio successivo, quando si è imposta decisamente su tutti gli altri modi. Riguardo agli studenti, il trasporto in auto, sia come passeggero che come guidatore, non ha la preminenza che possiede con i lavoratori, malgrado dal 2001 essa sia il mezzo preferito, e ancora più della metà degli studenti viaggia a piedi o con mezzi pubblici.
L’aumento dell’uso dell’automobile, oltre che dalla possibilità finanziaria di permettersene una, può anche vedersi come causato da una maggiore distanza dal domicilio al luogo di lavoro o studio, distanza che sarebbe impossibile coprire a piedi.
Le statistiche europee presentano dati al più presto risalenti al 1970 tuttavia i valori sono molto discontinui fino agli anni ’90. Tutti i grafici, eccetto quello sulle quote di mercato del trasporto, possono essere ingranditi, selezionandone una regione.
In buona parte dell’Europa il trasporto merci su strada ha la preponderanza assoluta. Tuttavia, in Paesi molto legati al mare, come Olanda, Belgio e le Repubbliche baltiche, le merci via mare sono la maggioranza, o comunque una notevole parte del totale. Si può notare una contrazione delle merci trasportate in gran parte degli Stati sotto esame dopo il 2008, più marcata per la strada, ma presente, comunque con più eccezioni e meno veemenza, anche per gli altri due settori. I comparti marittimo e ferroviario risultano dunque essere più stabili, quindi le merci che di preferenza trasportano più al riparo dalle crisi economiche. Significativo è il caso della Grecia, che dopo il 2008, in tre anni ha perso un terzo delle merci via strada, a mostrare un’economia che sfrutta principalmente il trasporto su gomma.
In generale, l’evento più raro a registrarsi è una crescita convinta delle merci movimentate, che si ha in pochi Paesi, quali Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Svezia, mentre sono più comuni la stasi o la decrescita.
Si può notare come il primo Paese per traffico merci aereo d’Europa sia la Germania, seguita dall’Europa centro-occidentale in genere, dove hanno sede le più importanti compagnie aeree del continente (gruppi Air France-KLM, British Airways-Iberia, Lutfhansa, Easyjet), con l’esclusione della Ryanair, con sede in Irlanda. Con la ferrovia, l’asse si sposta verso oriente, con Germania e Polonia primatiste indiscusse. Il loro primato si spiega grazie alla centralità dei due Paesi, specie della Germania, attraversati dai principali corridoi del trasporto in Europa. Chi trasporta più merci per strada si trova sulla cintura che dalla Spagna giunge in Polonia, includendo il Regno Unito. Per mare, il primato è passato nel dal Regno Unito ai Paesi Bassi (i due Stati sono concorrenti da secoli nel trasporto marittimo), e gli attori principali, oltre ai due già nominati, sono le mediterranee Italia, Spagna e Turchia.
Cipro, Malta e Islanda non possiedono ferrovie.
Le merci trasportate via aria sono mostrate a parte a causa dell’ordine di grandezza della loro quantità, nettamente inferiore a quello dei trasporti terrestri e marittimi. Esse non paiono aver risentito molto della paura seguita all’attentato dell’, a parte che in Italia, dove nel si è registrato un dimezzamento delle merci trasportate, e in Norvegia, in cui il calo è avvenuto nel . Dal la situazione è ritornata ovunque nella norma. Più diffusi invece sono stati gli effetti della crisi economica del , da cui però buona parte dell’Europa, con la prevedibile eccezione della Grecia, pare riprendersi o essersi ripresa.
Quando si parla di mobilità con mezzi non propri, la ferrovia movimenta la massima parte delle persone in quasi tutta l’Europa, mancando rilevazioni sul trasporto pubblico su gomma. L’unico paese che fa eccezione è l’Estonia, dove si preferisce spostarsi per mare. Si può notare un andamento molto vario per i passeggeri via ferrovia e mare, mentre i viaggiatori via aria sono in crescita quasi dovunque, segno della sempre maggiore popolarità e accessibilità dell’aeroplano. Il trasporto privato, rappresentabile solo col tasso di motorizzazione per mancanza di altri indici statistici, è in crescita ovunque, a parte che in Francia, dove dal è in calo. Il calo del numero dei viaggiatori marittimi in Danimarca è da imputare alla realizzazione di ponti tra le numerose isole che fanno parte di quel Regno e il conseguente disuso dei servizi di traghetto. Di questi ponti, i più importanti sono quelli sugli stretti di Øresund e del Grande Belt, che hanno legato le reti stradali e ferroviarie danesi (e quindi europee) e svedesi, togliendo anche al comparto marittimo svedese buona parte della sua clientela di pendolari transfrontalieri. In Italia e Grecia, invece, essendo i viaggiatori marittimi principalmente turisti, si notano bene gli effetti della crisi economica successiva al 2008, che ha costretto a ridurre le spese voluttuarie. Da qui si può anche dedurre che una buona parte della clientela delle crociere ha redditi abbastanza bassi, e quindi ha sofferto decisamente la recessione.
Guardando i dati del trasporto merci via aria su una prospettiva continentale, si offre alla vista la situazione già evidenziata per le merci: Germania, Francia, e Regno Unito sono ai primi posti, ma stavolta vi si aggiungono Spagna, Italia e Turchia, trainate dal turismo (che muove principalmente persone, piuttosto che cose). Per la Turchia contano anche le numerosissime destinazioni che si possono raggiungere da Istanbul in aeroplano, via Turkish Airlines. Per quanto riguarda la ferrovia, la Germania conferma la sua posizione da primatista, seguita stavolta non dalla Polonia, ma da Regno Unito, Francia e Italia. Il primato dei viaggiatori per mare è mediterraneo (grazie alle crociere) dall’inizio delle rilevazioni, ma è interessante studiare il caso di Grecia e Danimarca: prima delle aperture al traffico dei ponti tra le sue isole (conclusesi, le maggiori, nei primi anni Duemila), era la Danimarca a seguire l’Italia. In seguito il secondo posto è stato ceduto alla Grecia, che per qualche anno è stata anche primatista, trainata, più che dai pendolari, dai crocieristi. È anche interessante notare il caso di Belgio e Paesi Bassi: pur essendo tra i primi in Europa per traffico merci marittimo, sono in fondo alla classifica per i viaggiatori. Infatti, nei loro territori non si muovono mai più di due milioni di persone l’anno, a fronte di una popolazione di 11 (Belgio) o 17 milioni di persone (Paesi Bassi).
Cipro, Malta, Irlanda e Islanda non possiedono ferrovie.
Un aspetto che accomuna tutti i paesi d’Europa è la crisi del trasporto merci su ferrovia. È universale il declino del numero dei carri merci che è arrivato, nel Regno Unito, a farne scomparire i nove decimi in venticinque anni. Le merci trasportate invece presentano andamenti più vari, dalla quasi scomparsa del settore in Irlanda, alla decrescita nei Paesi balcanici, alla stasi italiana, alla crescita in Norvegia. L’unico Paese in cui merci e parco adibito al suo trasporto crescono è la Turchia. Curioso è il caso dell’Estonia, dove il traffico merci negli ultimi dieci anni si è sensibilmente contratto, ma il numero di carri continua ad aumentare.
I viaggiatori per ferrovia sono in crescita nei Paesi fondatori dell’Unione Europea, Regno Unito e Scandinavia, ma non tutti questi Stati stanno incrementando il numero di rotabili per il trasporto di persone: buona parte di essi lo sta riducendo. Bisogna però considerare che il materiale rotabile più moderno è più efficiente di quello che l’ha preceduto, in termini di intervalli di manutenzione, capacità di carico, eccetera, quindi buona parte delle alienazioni si spiega con l’eliminazione di carri, carrozze e motrici obsoleti, sostituiti da mezzi superiori, che riescono a offrire un servizio maggiore con loro minore dispiego.
Il numero dei rotabili pare legato più alla lunghezza della rete ferroviaria, che non al traffico che l’interessa: infatti, i primi tre Paesi per estensione delle ferrovie (Germania, Francia e Polonia), lo sono anche per parco rotabili, in tutte le categorie. È da notare che il traffico merci della Francia è sensibilmente inferiore a quello tedesco e polacco, e il traffico passeggeri della Polonia lo è riguardo a quello francese e tedesco.
Cipro, Malta, Irlanda e Islanda non possiedono ferrovie.
In tutti i Paesi d’Europa si nota una crescita della rete autostradale, mentre la viabilità ordinaria rimane approssimativamente stabile in estensione. È interessante notare il passaggio delle competenze sulla gestione delle strade tra Stato ed enti locali, avvenuto, ad esempio, in Italia all’inizio degli anni Duemila e in Spagna negli anni ’80, quando una notevole parte della rete stradale statale è passata in mano alle province o loro equivalenti.
Più varia è la situazione delle reti ferroviarie, che passa da un sostanziale immobilismo, a un’altalena tra chiusure tra gli anni ’70 e ’80 e nuove costruzioni alla fine del secolo, com’è accaduto in Spagna, a una desolante decrescita costante, come accade dacché esistono rilevazioni Eurostat in Francia e Regno Unito. Uno dei pochi Paesi in cui la ferrovia è in crescita è l’Italia, grazie al grande impulso dato alle tratte ad alta velocità. Curiosamente, anche in Lituania e Lettonia, dove la ferrovia ha un ruolo assolutamente preminente nel trasporto merci, la strada ferrata è in declino.
Il salto nei dati tedeschi tra il e il ’91 è dato dalla riunificazione tedesca, quando alle infrastrutture della Germania Federale si sono aggiunte quelle della Germania Democratica.
Con una visione geografica, anziché storica, si può notare, che la Finlandia, da quando la Spagna ha mutato la gestione delle strade, ha la rete viaria statale più estesa d’Europa, e anche tra le più dense, a causa di una popolazione molto dispersa (18 abitanti al km², quando in Italia sono 200 circa) ma che comunque ha bisogno di essere collegata col resto del Paese. Sempre la scarsità di popolazione non consente di dare in carico la gestione delle strade agli enti locali, con pochi contribuenti e quindi senza i fondi necessari alla manutenzione di una rete molto fitta.
Un indice più significativo della semplice estensione assoluta è la densità delle reti infrastrutturali, cioè quanti metri di strada o ferrovia sono per km² di territorio nazionale. È interessante notare che, per tutte le reti per cui sono presenti dati in quantità sufficienti, parecchie ex Repubbliche socialiste sono ai primi posti. È infatti l’Ungheria ad avere il sistema di strade provinciali più denso, seguita da Slovenia, le Repubbliche baltiche e Polonia. Simile discorso si ha per le statali, dove tornano i nomi degli stati sopra ricordati, escludendo la Polonia. La Repubblica Ceca possiede la rete ferroviaria più densa, anche se stavolta il podio è occupato da storici membri della Comunità Europea (Belgio e Germania) e la presenza di Paesi storicamente capitalisti in classifica è più forte. La questione muta completamente con le autostrade, il cui primato, sempre per quanto concerne la densità, va ai Paesi Bassi, seguiti da Belgio, Germania e altri Stati occidentali. Si nota come le politiche socialiste, che miravano a una compressione dei consumi individuali (penalizzando così ovviamente l’automobile propria) per privilegiare la grande industria e a una limitata possibilità di spostamento, abbiano limitato lo sviluppo delle strade veloci nell’Europa dell’Est, preferendo una fitta viabilità ordinaria. La posizione geografica centrale del Be-Ne-Lux, resa ancora più importante dai trattati di libero scambio in Europa, cominciati con la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (1951), ha eletto quei Paesi a cardine per i trasporti a lunga distanza sull’asse Est-Ovest dell’Europa e guidato lo sviluppo delle infrastrutture di conseguenza. Infatti il Belgio è il Paese con più strade di rilevanza europea, circa 140000 km, che si traducono nell’altissima densità di 460 m di rete al km² di territorio.
I veicoli circolanti sono in crescita in tutta Europa, malgrado i sempre più pressanti problemi di traffico. Anche le automobili, malgrado i tentativi di scoraggiare il trasporto proprio in favore di quello pubblico, ovunque crescono. L’unica categoria che in qualche Stato è in calo, ad esempio in Repubblica Ceca e in Austria, è quella delle trattrici stradali. Si può imputare questo fatto alla volontà di servirsi di trasportatori stranieri a dispetto di quelli nazionali, costringendo questi ultimi a ridurre il parco mezzi o, più semplicemente, a chiudere. I rapporti tra le quantità di veicoli circolanti sono gli stessi per tutta Europa: in ogni Paese più della metà dei veicoli a motore, e generalmente più dei tre quarti del parco circolante, è formata da automobili.
Più interessante è osservare i dati su scala europea: il Paese col numero maggiore di autobus è di gran lunga la Turchia, e se ne può comprendere il perché studiando il tasso di automobili per 1000 abitanti in quella repubblica: il più basso d’Europa, insieme a quello macedone. È ovvio che con un così piccolo numero di automobili disponibili la mobilità dev’essere assicurata con altri mezzi, gli autobus, in questo caso. Per un motivo simile, nel Regno Unito, a seguito dei piani Beeching di razionalizzazione della rete ferroviaria e della disattivazione di migliaia di chilometri di linee cominciati negli anni Sessanta, il trasporto locale, prima effettuato dai treni, dev’essere effettuato dalla prima flotta di autobus d’Europa. Il primato delle automobili per abitante va al piccolo Lussemburgo, seguito dall’Italia, con più di 600 vetture per 1000 abitanti. Malgrado ciò, la flotta di autobus italiana è fra le maggiori dell’Europa propriamente detta. Considerando ancora il tasso di motorizzazione, si nota la netta spaccatura nei primi anni ’90 tra paesi capitalisti e socialisti, questi ultimi con molte meno automobili. Col passaggio a un’economia di mercato che privilegia i consumi individuali, gli ex membri del Patto di Varsavia hanno recuperato la distanza che li separava dall’Occidente.
La Germania detiene ancora primati: è infatti il primo paese per di automobili, rimorchi e trattrici stradali. L’altissimo numero di queste ultime due categorie porterebbe a titolare la Germania “autotrasportatore d’Europa”. L’Italia detiene invece il primato nel numero di motocicli, che sono in rapporto di uno ogni 10 abitanti. Le strade strette e trafficate d’Italia certamente hanno un ruolo, in questa preferenza per le due ruote. L’Italia è dunque il Paese d’Europa in cui di più si sente la necessità di possedere un mezzo di locomozione proprio.
Le statistiche riguardo alle quote di mercato sono forse le più interessanti di questo lavoro. I dati a livello europeo mostrano la situazione più comune: preminenza assoluta della strada, sia nel trasporto merci che passeggeri. Purtroppo le rilevazioni non coprono un lasso di tempo sufficiente per notare grandi mutamenti dei rapporti tra modi di trasporto. Unica eccezione sono le ex repubbliche socialiste, dove si nota, nei primi anni ’90, una preferenza per il trasporto pubblico, dettata dall’impossibilità per buona parte della popolazione di possedere automobili proprie. In Repubblica Ceca e Slovacchia la ferrovia sta perdendo terreno nei confronti della strada, e lo stesso sta accadendo nelle repubbliche baltiche. In controtendenza, per le merci, è la Romania, dove ferro e navigazione interna hanno insidiato decisamente il primato della strada e ora tengono la maggioranza delle merci movimentate. In Regno Unito, Germania e Francia il trasporto passeggeri su rotaia sta lentamente guadagnando favore.
Gli unici Paesi d’Europa dove la strada ha concorrenti capaci di sottrarle quote importanti del mercato sono le repubbliche baltiche, i Paesi Bassi e la Romania e la Bulgaria. In questi ultimi tre Stati la navigazione interna è molto sviluppata, grazie alla presenza di numerosi corsi d’acqua, che possono essere o i numerosi fiumi e canali artificiali olandesi (parte del territorio da tempo immemore) o il grande Danubio nel suo basso corso. È interessante notare come i popoli che più sfruttano il trasporto ferroviario si trovino lungo il corso del Danubio e sulla mezzaluna che dalla Finlandia termina in Svizzera.
Spostandosi sul comparto passeggeri, al momento presente in nessun Paese, nemmeno in quelli nordici, che si immaginerebbero più propensi a usare i mezzi pubblici, l’automobile sposta meno del 60% dei viaggiatori. Chi viaggia di più in autobus sono i cittadini degli stati ex socialisti, e, fuori d’Europa, assolutamente i turchi, ancora poco motorizzati. Il primato di maggiori utenti delle ferrovie col tempo si è spostato dall’area a est della cortina di ferro (con la Polonia in prima posizione) alla Svizzera, passando quindi da viaggiatori ferroviari per cause di forza maggiore a viaggiatori per scelta.
Non hanno vie di navigazione interna Cipro, Danimarca, Estonia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Malta, Norvegia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia e Svizzera. Non hanno ferrovie Cipro, Malta, Irlanda e Islanda.
Le serie storiche ISTAT citate per le statistiche italiane si possono reperire su http://seriestoriche.istat.it
I dati per le statistiche europee provengono tutti da https://ec.europa.eu/eurostat/web/transport/data/database
Questo sito è stato realizzato da Giovanni Battista Ricci come tesi di laurea triennale per il corso d’Informatica Umanistica dell’Università di Pisa, relatori i professori Andrea Marchetti ed Enrica Salvatori, e discusso l’11 ottobre 2018. Esso ha le sue origini in un progetto realizzato per l’esame di Basi di dati e laboratorio di progettazione web dello stesso corso di laurea.